Un po’ di storia
L’intera storia della Lamy è scandita dalla collaborazione con noti o notissimi designers, a testimoniare l’attenzione che la casa di Heidelberg ha sempre attribuito alla cura delle proprie penne, che, oltreascrivere bene, devono anche presentare un’estetica che ne rifletta la precisa personalità.
A tutt’oggi, 2018, i capisaldi di queste collaborazioni sono Gerd Alfred Müller (il primo, negli anni ‘60 del XIX secolo) e Jasper Morrison, il creatore della Aion, ultima delle creature Lamy.
Fin dalla fondazione della sua nuova azienda (nel 1962, ad Heidelberg) il dr. Manfred Lamy cercò di assicurarsi la collaborazione di Gerd A. Müller, che allora era un apprezzato freelance nel settore del design industriale, già piuttosto famoso per aver progettato alcun prodotti di grande successo per la Braun: un certo numero di prodotti Braun sono esposti nella collezione permanente del Museum of Modern Art di new York!
La collaborazione con Gerd A. Müller ha prodotto ben quattro (notevoli) penne Lamy: la “2000”, la “cp 1” , la “st”, e la “unic”, quattro progetti tutti accomunati da una estrema linearità delle forme, tutte coerenti con una visione improntata ad un rigoroso minimalismo funzionalistico.
La 2000 si differenzia, tuttavia, per la forma rastremata e per il materiale strutturale polimerico.
Forma ed estetica
Quando si parla di questa penna ci si richiama, in maniera quasi automatica, ai criteri “funzionalistici” che si attribuiscono, in maniera disinvoltamente semplificativa, alla scuola di architettura nota come “Bauhaus” (il nome completo era, però, “Staatliches Bauhaus”, ovvero Scuola Statale di Costruzioni), i cui criteri progettuali vengono spesso arbitrariamente sintetizzati nella massima: “È la funzione che determina la forma”. In realtà occorrerebbe ricordare che il Bauhaus (ideato da Walter Gropius) operò a Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932 e a Berlino Dal 1932 al 1933: l’attività si interruppe con l’avvento del nazismo. La scuola del Bauhaus costituisce certamente un punto di snodo cruciale nei rapporti fra cultura e tecnologia, in una visione rinnovata che ambiva a liberarsi da una serie di “zavorre” ereditate dal secolo precedente. E certamente architetti e designer (soprattutto tedeschi) non possono non aver fatto tesoro della ricchissima esperienza di questa scuola.
A giudicare dai suoi elaborati, possiamo certamente attribuire al pensiero progettuale di Gerd A. Müller, nato nel 1932, una sostanziale adesione alla “filosofia Bauhaus”.
Come si accennava prima, la Lamy è solo una delle quattro penne progettate da Müller ma occupa un posto a sé stante per le caratteristiche innovative che riguardano lo stesso materiale costruttivo, diverso dal metallo delle altre tre penne. In questa penna si concretizza, infatti, in maniera brillante (e a distanza di oltre mezzo secolo dal progetto ne possiamo dare testimonianza e apprezzamento a ragion veduta…) la capacità di “vedere” ben oltre l’angusto presente dei materiali e delle tecnologie dell’epoca.
La 2000 è fatta di un materiale che all’epoca era assolutamente innovativo, il LEXAN, una resina polimerica (policarbonato) scoperta appena nel 1953 presso la Beyer, che la commercializzò sotto il marchio Makrolon®. Questo polimero presenta importantissimi pregi strutturali: elevata trasparenza, elevatissima resistenza alla rottura, elevata resilienza (capacità di assorbire urti), ampia stabilità termica. Le lastre di Lexan/Makrolon, molto usate ancora oggi, sono in grado di resistere perfino all’impatto di un proiettile di arma da fuoco!
Perfettamente plausibile, perciò, che un innovatore come Müller abbia pensato proprio al Makrolon come elemento strutturale per una penna. Nel caso specifico, tuttavia, il materiale di base fu arricchito dall’aggiunta di fibra di vetro che ne aumentò la resistenza e lo colorò in nero, come appare ancora oggi nelle Lamy 2000. Il risultato finale fu un materiale che poteva garantire una lunghissima durata e una lavorabilità straordinaria. Basta osservare da vicino, con attenzione, la consistenza superficiale satinata della penna per giustificare un entusiastico apprezzamento.
A materiale nuovo forma nuova! La 2000 si distacca dai criteri progettuali consolidati anche per la forma, a sigaro “tronco”: il cappuccio è terminato da un “bottone” decorativo con la supeficie superiore lucidata e reso evidente da una piccola scanalatura; il fondello, pur esso tronco, è decorato da un piccolo piattello metallico circolare privo di qualunque sporgenza.
Anche la clip, spesso occasione di “digressioni” disomogenee, si presenta come una solida conferma dello stile complessivo: in acciaio inossidabile spazzolato, ha una forma rigorosamente lineare per l’intera lunghezza, con la modesta variante offerta dalla sporgenza inferiore del “becco”, che dovrebbe garantire un aggancio sicuro.
Lo stesso sistema di chiusura del cappuccio si avvale di una specifica rinuncia alle filettature e si avvale di due piccoli dentini retrattili in acciaio (appena visibili, subito a ridosso della sezione) per garantire una chiusura “snap on” rapida ed affidabile. L’aspetto più notevole nel tentativo di descrivere l’aspetto di questa penna è che …non c’è poi molto da descrivere! Una piacevole singolarità è allora la sezione stessa: in questo caso anche i più critici, che trovano sempre da ridire quando la sezione è in materiale diverso da quello del fusto, non possono non apprezzare l’acciaio inox rifinito con la stessa consistenza superficiale (spazzolata) del fusto.
Un matrimonio davvero felicissimo, dove la marcata disomogeneità strutturale e cromatica finisce per valorizzare ed esaltare proprio la forma complessiva in una perfetta omogeneità della finitura superficiale.
Un esempio davvero singolare della eccezionale qualità delle lavorazioni (con tolleranze impercettibili) è costituito dal “rapporto” tra fondello (destinato alla manovra del pistone di caricamento) e fusto. Quando il fondello è completamente avvitato è davvero difficile percepire ad occhio nudo una qualunque discontinuità: sembra tutt’uno col fusto. La discontinuità diventa visibile solo quando si svita il fondello per le normali operazione di scarico e carico del serbatoio nel fusto.
Nel caso della “ink window” la Lamy ha optato per un ritorno alla versione semitrasparente della resina, per una lunghezza che non interferisce in maniera apprezzabile con la linea dell’insieme.
Sul fianco destro della clip (per chi osserva la penna dal davanti) è incisa, con un lettering essenziale, la sola scritta presente, con il nome della casa produttrice.
Comodità d’uso
Peso ridotto e, comunque, ben bilanciato, insieme ad una lunghezza perfettamente adeguata a consentire una impugnatura comoda e sicura, in ogni condizione, per mani anche medio-grandi, sono i punti fermi di una penna che può essere usata senza stancare anche per lunghe sedute di scrittura. Chi ne senta la necessità, può comunque usare questa penna col cappuccio calzato senza che da ciò derivi una apprezzabile variazione dell’assetto percepito.
La perfetta continuità fra sezione e fusto può creare un iniziale disorientamento, destinato, tuttavia, a risolversi dopo un primo brevissimo periodo di familiarizzazione: l’operazione può inoltre essere agevolata in qualche misura, proprio dal supporto visivo offerto dalla differenza cromatica fra i due materiali costitutivi (resina e acciaio).
I due provvidenziali dentini di ritenuta non intralciano in alcun modo l’impugnatura (bisogna solo evitare di “pensarci” troppo e andare “d’istinto”) ma danno il loro positivo contributo a tenere saldamente in posizione il cappuccio: non si apre per caso e non scivola in maniera fortuita ma solo a seguito di uno sforzo consapevole e intenzionale.
Chi è abituato a portare la penna infilata in tasca può restare assolutamente tranquillo rispetto al rischio di aperture intempestive e nefasti spandimenti di inchiostro.
La ink window (obbligatoria in una penna a stantuffo con corpo opaco) è razionale e comodamente utilizzabile: il livello dell’inchiostro è chiaramente visibile senza sforzo.
La clip è una robusta barretta di acciaio inox di forma squadrata, assolutamente rigida ma la sua funzione viene svolta (in maniera comoda e sicura) grazie alla presenza di una provvidenziale piccola molla in acciaio (montata all’interno del cappuccio) che permette all’intera clip di essere estroflessa senza troppo sforzo per agganciare qualunque tipo di tessuto; il dentino riportato sotto il tratto terminale della clip la farà rimanere saldamente in posizione.
Anche chi apprezza qusta penna non manca di esprimere fondate riserve sulla impossibilità di accedere in maniera diretta ed immediata alle informazioni sul pennino, almeno alla lettera che ne indica la larghezza: il pennino è, infatti, interamente coperto (= nascosto) dalla parte terminale della sezione. Per leggerne i dati occorre svitare dal fusto l’intero complesso sezione-alimentatore-pennino e sfilare il pennino mettendolo a nudo: non proprio comodo o gradevole. L’operazione è sconsigliata ai maldestri; gli altri potranno utilmente apprendere, sul web, la procedura corretta dai non pochi video che illustrano l’operazione.
Da notare che, sempre sul web, viene anche illustrato lo smontaggio completo della penna (praticamente senza attrezzi): un’operazione da riservare ai casi estremi e se si è abbastanza pratici di questo genere di interventi…
Il gruppo pennino
Come già accennato (e come ben si vede dalle immagini…) il gruppo di scrittura di questa penna si iscrive nella categoria dei cosiddetti “pennini coperti”, come quello della mitica Parker 51 (tanto per rimanere nei classici…). Una scelta stilisticamente obbligata, una volta scartato un qualunque pennino ad ala. Il pennino della 2000 (in oro 14 carati) è “rivestito” in rodio, in modo da essere “bianco” come l’acciaio della sezione; le punte dei suoi rebbî concludono in maniera coerente la forma rastremata della penna.
La parte visibile dell’alimentatore si presenta estremamente semplice; l’unica singolarità è il foro di sfiato, situato nell’elegante sguscio praticato nella parte inferiore dell’acciaio della sezione: una soluzione originale e perfettamente funzionale. Non amo i pennini troppo “larghi”: ben consapevole delle caratteristiche comuni ai pennini “germanici” e alla loro tendenziale generosità, ho, perciò, scelto per questa penna un pennino fine, destinato a rivelarsi abbastanza “ampio”.
Per la prova di scrittura ho caricato il capace serbatoio con un inchiostro di classe, J. Herbin Bleu nuit, un blu scuro leggermente grigio con un tono di grande distinzione, perfetto per ogni uso.
Per la carta di supporto ho mantenuto il solito puntinato Fabriano Ecoqua.
Il risultato di questo abbinamento è stato estremamente lusinghiero: scrittura scorrevole, sempre, assoluta mancanza di false partenze o salti rendono l’uso di questa penna un’esperienza davvero molto gratificante. Come era prevedibile, il tratto risulta abbastanza largo, certamente più largo di alcuni <M> giapponesi, merito anche dell’alimentatore, tutt’altro che parsimonioso, e della grande fluidità dell’inchiostro.
Finalmente una penna quasi completamente priva di feedback: anche tracciando lunghe linee veloci si avverte solo un leggero sibilo. Difficilmente si può desiderare di più. Oltretutto la penna scrive benissimo anche a pressione zero, lasciando dietro di sé una traccia continua, regolare e consistente; una vera gioia per quelli che amano scrivere con mano leggera (o leggerissima): sembra quasi che lo scritto venga fuori dal solo pensiero, senza alcuna intermediazione materiale!
Questo pennino è sostanzialmente privo di qualunque flessibilità: deve essere considerato semplicemente rigido; con un sensibile aumento della pressione si ottiene un aumento davvero poco significativo della larghezza del tratto: non vale davvero la pena di fare lo sforzo.
La scrittura con pennino rovesciato (reverse writing) è accompagnata da un feedback piuttosto ridotto (ben sopportabile) ma produce una traccia davvero troppo sottile, che potrà tornare utile solo in casi rarissimi (non riesco a immaginare quali…).
Un’ultima osservazione riguarda la tanto discussa questione del cosiddetto “sweet spot” della Lamy 2000, causa di non poche, ingiustificate, riserve.
Per la sua stessa conformazione il pennino (qualunque pennino) produrrà un tratto “regolare” (continuo e consistente) per una ben precisa posizione rispetto al foglio. Mutuando l’espressione dal gergo del tennis, si parla di “sweet spot” (alla lettera: il punto “dolce”) di un pennino intendendo come tale la posizione nella quale il pennino esibisce la scrittura più scorrevole e continua: basta scrivere con una penna per qualche minuto (“smanettando” con la sua posizione) per scoprire quale sia lo sweet spot del suo pennino. Si parla, però, esplicitamente di sweet spot solo per quei pennini che sembrano presentare un angolo di scrittura “accettabile” relativamente più stretto della media, al punto da rendere meno semplice ed immediato il corretto posizionamento della penna e richiedere, perciò, una certa consuetudine con “l’attrezzo”.
I pennini “ad ala”, soprattutto se di dimensioni generose, aiutano in maniera significativa nella individuazione, anche “visiva”, dell’angolo di scrittura più favorevole. Trovare lo sweet spot è, invece, abbastanza più complicato ed incerto con le penne che utilizzano i cosiddetti pennini “coperti”, come quello della storica Parker 51 o quello di questa Lamy 2000 (appunto), spesso criticata proprio per uno sweet spot che qualcuno giudica troppo limitato/critico.
Devo ammettere, tuttavia, di essere estremamente soddisfatto della mia Lamy 2000, con la quale ho una ormai piuttosto assidua consuetudine: sarà pur vero che il suo “sweet spot” è un po’ più limitato rispetto a quello di una …Sheaffer Grand Connaisseur (tanto per citare un grande classico di razza), ma non ho mai trovato ragione di lamentarmi di questa peculiarità della “2000” iscrivendola nella lista dei difetti: basta usarla per un po’ (ore o, al massimo, un giorno o due) per dimenticarsi completamente della questione.
In conclusione: una solida esperienza di scrittura con una penna di grande eleganza, una eleganza vera, che non ha bisogno di inutili esibizioni. La Lamy 2000, con la sua collaudata tecnologia, si conferma un’affidabile, piacevole compagna di lavoro: chi fa della scrittura una parte importante del suo “mestiere” si sentirà certamente rassicurato sapendo di avere in tasca (o nella cartella) una Lamy 2000. Se si prevede di andare fuori sede per qualche giorno, appare consigliabile associare alla penna un comodo calamaio da viaggio.
Il prezzo, piuttosto limitato (meno di 170 euro, quotazione Goldpen) rende questa penna estremamente competitiva, un acquisto che non si avrà certamente occasione di rimpiangere.
Buona scrittura. Buon divertimento.
[maggio 2018]
Il confronto tra la Lamy 2000 (in basso), la piccola Pelikan M205 (al centro) e la Lamy Vista (in alto) conferma la Lamy 2000 come una penna di dimensioni “medie”, sia con cappuccio sia senza.
PROVA DI SCRITTURA
LAMY 2000 <F>
Inchiostro: J. Herbin Bleu nuit Carta: Puntinato FABRIANO Ecoqua
NB: il righello che compare nella scansione del foglio ha lo scopo di consentire una valutazine dimensionalmente corretta dei risultati (spessori), falsati da una riproduzione che non sia in scala 1:1.